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Climate change: le inondazioni tedesche e gli inutili annunci dei politici italiani

Riccardo Sabbatini

Quando le acque degli affluenti del Reno si ritireranno dalle devastate regioni del Palatinato e della Westfalia ed inizierà la conta finale dei danni e delle vittime, come verranno classificate le alluvioni che hanno colpito quei ricchi territori? Probabilmente gli assicuratori dovranno fare i conti con il più grave disastro ambientale degli ultimi trent’anni con perdite che forse supereranno gli 11,1 miliardi costati alle compagnie nel 1990 per risarcire i danni delle tempeste Vivian e Wiebke. Ma, nelle analisi degli operatori del settore si affaccia uno scenario ancora più inquietante. Quello di non riuscire più ad offrire coperture sufficienti ai tanti cittadini tedeschi in possesso di una polizza – sono il 45% dei proprietari di case – per eventi atmosferici che si prospettano sempre più gravi. E’ l’ombra scura del climate change che sta facendo sentire i suoi effetti. E non soltanto in Europa. Dall’altra parte dell’Atlantico, in California, la disponibilità di polizze si va già rarefacendo di fronte ai crescenti rischi climatici che, in quell’area del mondo, sono soprattutto rappresentati dagli incendi. I coltivatori di Napa Valley, una delle aree vinicole più pregiate al mondo, stanno malinconicamente preparandosi – ha riferito in questi giorni un’inchiesta del San Francisco Cronicle – a chiudere le loro attività per mancanza di protezioni assicurative.

La risposta a questi allarmi sta in un’azione combinata tra l’azione degli stati e quella che possono mettere in campo gli assicuratori. Se gli effetti del climate change si combattono con le armi delle mitigazioni e dell’adattamento, il primo strumento è soprattutto nella disponibilità degli stati. Chi se non loro può vietare per legge le emissioni di carbonio? O costruire le infrastrutture necessarie a contenere la furia delle acque o del fuoco? O, semplicemente a disporre che le costruzioni delle case avvengano fuori dalle aree più a rischio? Tutto questo può ridurre la magnitudo dei fenomeni consentendo agli assicuratori di aprire il loro ombrello. Se in passato le forme di partenariato pubblico-privati erano viste (almeno in Italia) come un modello per rendere più rapida ed efficiente la macchina dei risarcimenti, oggi l’azione di mitigazione dei rischi svolta dagli stati è considerata ineludibile per permettere la stessa azione dei privati. Lo si è visto nel corso della recente pandemia e sempre più apparirà chiaro nel cyber risk (altra grande emergenza globale).

Tutti d’accordo ad intraprendere questa strada che peraltro è già stata percorsa con successo in Spagna, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti? Chi avesse assistito all’ultima assemblea dell’Ania, l’associazione delle compagnie, ne sarebbe stato confortato. Intervenendo a quell’assise Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico ha detto senza mezzi termini che “una risposta efficace ai rischi delle catastrofi naturali può declinarsi attraverso forme di partenariato pubblico-privato, anche attraverso modalità innovative”. Non si tratta di affermazioni isolate. All’assemblea dell’Ania di un anno prima, l’allora responsabile dello stesso dicastero Stefano Patuanelli aveva lamentato l’ancora “troppo scarso utilizzo dello strumento assicurativo”. “Condivido – aveva detto con voce ferma – la proposta dell’Ania per una partnership pubblico-privasti sulle catastrofi”. E che dire dell’allora premier Giuseppe Conte ospitato all’assise assicurativa del 2019? “Ci sono tutti i presupposti – aveva detto con un tono da grandi annunci – per imbastire un’alleanza strategica tra governo ed imprese assicuratrici”. Il dado è tratto, dunque. Peccato che era tratto anche l’anno precedente quando all’assemblea delle compagnie si presentò l’ineffabile Antonio Di Maio, al tempo ministro dello Sviluppo Economico. E con aria vagamente profetica sentenziò: “Una sinergia pubblico-privato potrà far progredire il paese ed anche l’industria assicurativa”. Naturalmente, chi sta leggendo sa bene com’è andata: non si è mai fatto nulla. Di fronte al pericolo di perdere consensi elettorali, per il rischio che la copertura assicurativa obbligatoria o semi-obbligatoria sulle catastrofi fosse considerata una nuova imposta, i nostri impavidi politici si sono sempre ritratti. Come nel coro della “Forza del destino” di Giuseppe Verdi: “Partiam! Partiam!”. E stanno tutti fermi.

a cura di Riccardo Sabbatini

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