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Aumentare i ratios patrimoniali per “vaccinare” le assicurazioni? Meglio no vax

Riccardo Sabbatini

Quando i regolatori riflettono su eventi estremi per vedere il da farsi c’è da preoccuparsi. Non perché non sia auspicabile l’analisi di cosa “non ha funzionato” e dei fattori scatenanti di una crisi globale. Il fatto è che spesso, nei settori regolamentati (banche e assicurazioni), le autorità scelgono la “scorciatoia” di aumentare i ratios patrimoniali per evitare emergenze future, anche se non c’è evidenza che quei presidi siano in effetti utili allo scopo. Sicché il risultato pratico è quello di appesantire e rendere più complessa ed incerta la gestione operativa delle entità che si propongono di tutelare. Il refrain potrebbe ripetersi anche in relazione alla recente pandemia. In questi giorni è stato pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionale – l’organismo globale che supporta le banche centrali nell’assicurare la stabilità finanziaria – un paper dal titolo che, per così dire, è tutto un programma: “vaccinare gli assicuratori contro le pandemie – una revisione dei requisiti di capitale per il rischio pandemico”. Lo studio, per la verità, non è così tranchant. Fa presente che l’industria delle polizze ha “resistito relativamente bene alla catastrofe”. Gli indici di solvibilità sono diminuiti del 4% mantenendosi però abbondantemente al di sopra del livello di guardia. I problemi riguardano, piuttosto, il futuro perché non possono essere escluse nuove pandemie. Anzi dovremmo abituarci a simili eventi. Si stima – è scritto nel paper – che ci sono 1,7 milioni di virus non scoperti ospitati da mammiferi e uccelli e oltre 631.000 di questi potrebbero avere la capacità di infettare gli esseri umani. Con più di cinque nuove malattie che si sviluppano ogni anno tra gli uomini, una nuova pandemia è sempre in agguato. Inoltre il cambiamento climatico può favorire nuovi focolai di infezioni perché distrugge gli habitat naturali della fauna selvatica. Ma che fare per rendere maggiormente resiliente l’industria assicurativa?

I problemi iniziano qui – sottolinea lo studio – perché ad esempio non esiste tra i regulator mondiali neppure una definizione condivisa di “evento estremo”. E neppure è così facile identificare i sinistri che, nel caso di una pandemia, possono in prima battuta essere rappresentati dal numero di morti. Se la “spagnola” di inizio novecento ha ucciso oltre 50milioni di persone, il Covid-19 è stato meno letale. Secondo l’organizzazione mondiale della sanità sono decedute finora 4,6 milioni di persone ma il calcolo non è preciso perché variano da paese a paese le rilevazioni statistiche. Sicché è più semplice fare affidamento all’indicatore dei “morti in eccesso” (rispetto alla media annuale) che nel 2020 ha registrato un incremento di circa 3milioni di unità. La regolamentazione prudenziale delle assicurazioni considera il rischio di mortalità applicando un aggiustamento del capitale regolamentare se i tassi di mortalità superano determinate soglie (dallo 0,5 al 2 per mille, nelle diverse giurisdizioni). Ma se fosse applicata ex-post questa ricetta alla pandemia in corso si combinerebbe un pasticcio perché, ad esempio, non verrebbe considerato l’effetto vaccini che, da un anno all’altro, ha ridotto in modo sostanziale il numero degli ospedalizzati e dei morti contenendo anche i danni assicurativi.

Le compagnie – osserva lo studio- dovrebbero “identificare i rischi derivanti da una pandemia oltre il rischio di mortalità, compreso il rischio di mercato, il rischio di credito, il rischio operativo e altre categorie di rischio assicurativo come interruzione dell’attività e valutare il modo migliore per affrontarli”. E’ un invito, quest’ultimo che è anche un ovvietà rivolgendosi ad un settore, quello delle polizze, che da sempre è abituato ad identificare i rischi, a gestirli e, se non li conosce abbastanza, a scansarli. Lo ha fatto anche in questa circostanza se è vero che le polizze di protezione (ed esempio sull’interruzione dell’attività) contenevano spesso esclusioni specifiche per le pandemie. Ritoccando all’insù l’adeguatezza patrimoniale delle compagnie – uno dei suggerimenti del report – queste sarebbero spinte ad allontanarsi ancora di più da quei rischi. Non fallirebbero ma diventerebbero irrilevanti.

E’ questo, in fondo il vero pericolo che sovrasta assicuratori e che il report della Bri non affronta per nulla. Nel corso della pandemia gli Stati hanno ribadito il loro ruolo di “assicuratori di ultima istanza” ed anche in futuro non potranno che fare lo stesso. Soltanto loro hanno la forza sufficiente per affrontare simili emergenze ma perché l’industria assicurativa rimanga resiliente e allo stesso tempo non inattiva occorrerebbe mettere a punto partnership in cui pubblico (lo Stato) e i privati (le Compagnie) definiscano i propri ruoli e responsabilità. Di questo occorrerebbe occuparsi più che di ratios patrimoniali.

a cura di Riccardo Sabbatini

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