
L’ultima frontiera del wellbeing è un video girato a Bollywood, la mecca del cinema indiano. Nello spot si vedono 11 arzilli pensionati che ballano, cantano, recitano come vere star. Tutti in tenuta da show business, con tanto di giacche sgargianti e occhiali scuri. Le 11 “super star after retirement” sono state selezionate da Bajaj Allianz, compagnia vita indiana del gigante assicurativo tedesco, allo scopo di mostrare come i cosiddetti anziani, se autosufficienti finanziariamente, possono occupare il tempo del pensionamento per coltivare quelle passioni che da giovani hanno immolato sull’altare delle necessità familiari. Ed eccoli lì, dunque, ad esibirsi soddisfatti ed a trasmettere un messaggio inequivocabile: c’è una vita che ci attende dopo il lavoro, più gratificante e ed exciting di quella che abbiamo trascorso dietro una scrivania! E questa vita – dicono gli studi demografici – è destinata a durare sempre più.
Su questa colonna già si è dato conto delle riflessioni della Geneve Association per adeguare la tradizionale offerta assicurativa di polizze vita ai cambiamenti demografici e sociali in corso. È un dibattito che continuamente si arricchisce di nuovi contenuti. In questi giorni un lungo articolo su Barron’s ha segnalato il boom (+25%) dei matrimoni in Usa che ha fatto seguito allo stop degli anni della pandemia che aveva reso impossibili molti festeggiamenti. Se i fiori d’arancio si sprecano, però – sottolinea il settimanale – di culle se ne vedono poche in giro con un tasso di natalità crollato ai minimi storici un po’ dappertutto: In Usa nel dopoguerra il tasso di fertilità era di 106,2 bebè ogni mille donne. Nel 2020 risultava dimezzato a 56 nascite. Il crollo della natalità risente dell’incertezza economica visto che allevare un figlio fino all’età adulta costa in Usa $ 250mila, circa $ 1000 al mese (molto più dei 640 euro al mese calcolati per l’Italia nell’ultima relazione della Banca d’Italia). E al tempo stesso l’alimenta, l’incertezza, visto che un minor numero di giovani porta con sé una minore crescita economica e una crescente pressione sul sistema sanitario e previdenziale. Neppure è facile tornare indietro quando si è imboccata la china di un crescita demografica negativa. Ci è riuscita la Norvegia perché le giovani coppie – ha spiegato Barron’s – hanno fiducia in un sistema di ammortizzatori sociali all’avanguardia nel mondo. Ma non la Corea del Sud nonostante i tanti miliardi impiegati per sussidi e che ha visto nel 2021 il numero delle nascite scendere ai minimi storici. Dovremmo allora rassegnaci ad un futuro da lacrime e sangue? Non è detto. Un articolo pubblicato recentemente su Economist disegna una quadro molto più articolato e soprattutto pone la questione dell’invecchiamento in termini differenti da quelli canonici. Dopotutto un numero inferiore di figli può significare anche educarli meglio e, comunque, minimizzare l’impatto della popolazione sul pianeta. “Non possiamo mitigare il declino della fertilità – sottolinea l’articolo firmato da Vegard Skirbekk, docente alla Columbia University – e dovremmo adattarci a vivere in un mondo con poche nascite. La questione dovrebbe essere non quali popolazioni invecchieranno ma in quali paesi la popolazione invecchierà bene. Credo che possiamo declinare e prosperare”. Insomma invece di comprare culle per neonati che non arrivano è meglio regalare una chitarra a chi va in pensione!
a cura di Riccardo Sabbatini
Leggi anche India. Bajaj Allianz alla ricerca di superstar nella terza età