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Clima: la fine della NZIA, i repubblicani Usa e la “mano invisibile”

Riccardo Sabbatini
Riccardo Sabbatini

La lobby statunitense dei petrolieri in queste ore starà stappando bottiglie di champagne. In fondo è stata sufficiente una lettera di 23 procuratori generali (attorney general) di altrettanti stati repubblicani – tradizionalmente vicini alla filiera del carbone – per disintegrare la Net Zero Insurance Alliance (NZIA), l’alleanza assicurativa sul clima nata nel 2019 sotto l’egida delle Nazioni Uniti. Quella lettera, inviata lo scorso mese ai membri dell’alleanza, conteneva una larvata minaccia. “Siamo preoccupati – diceva tra l’altro – per la legalità dei vostri impegni a collaborare con altri assicuratori e proprietari di asset al fine di promuovere un’agenda climatica attivista. Queste azioni hanno portato a gravi effetti dannosi per i residenti dei nostri Stati. La spinta a costringere le compagnie assicurative e i loro clienti a ridurre rapidamente le emissioni ha portato non solo a un aumento dei costi assicurativi, ma anche a un aumento dei prezzi del gas e dei costi di prodotti e servizi in generale, con conseguente inflazione record e difficoltà finanziarie per i residenti dei nostri Stati. Questi effetti finanziari sono ben noti e importanti”.

Il pericolo di finire sotto le grinfie dell’antitrust per un’alleanza sul clima può essere considerato modesto e, in altri contesti, non ha prodotto simili sfaceli. Occorre aggiungere, però che il settore assicurativo è tradizionalmente iperregolamentato e che, in Usa, la vigilanza non è esercitata a livello federale ma dai singoli stati. I grandi gruppi finanziari internazionali ben conoscono i costi che può raggiungere la litigation in Usa, ed hanno preferito sfilarsi dall’alleanza per il clima. Probabilmente – ha lasciato intendere anche il Ceo dei Lloyd’s , John Neal – anche la rigidità degli impegni richiesti dall’alleanza può aver contribuito alla medesima scelta.

Comunque, l’entusiasmo dei repubblicani per l’esito della vicenda, sarà probabilmentente di breve durata. Avuto la meglio sui pavidi membri della NZIA – con quel nome, peraltro, la sua sorte era segnata in partenza! – i pronipoti di Fort Alamo dovranno ora fare i conti con una mano, invisibile, ma più tenace. Quella del mercato.

Nello stesso giorno in cui molti big delle polizze (Allianz, Axa, Scor e Lloyd’s) annunciavano il loro ritiro, in California State Farm annunciava che non avrebbe più assicurato dagli incendi i residenti dallo stato. Da quando il climate change ha iniziato a produrre effetti irreversibili sull’ambiente il grande stato americano ha sperimentato un aumento della siccità e un ‘impennata nel numero degli incendi boschivi. Come se non bastasse anche le alluvioni sono aumentate e nel complesso, lo scorso anno, le catastrofi naturali sono pesate per $1,5 miliardi nei conti delle compagnie. State Farm, che detiene una quota di mercato intorno al 20% nelle coperture delle abitazioni ha scelto di uscire dal mercato. In precedenza avevano fatto la stessa strada AIG e Chubb, altri due colossi dell’industria assicurativa Usa. C’è anche da considerare che, in California , una legge statale (la “Proposition 103”) impedisce gli assicuratori di fissare liberamente le tariffe sottoponendoli ad un controllo del regulator. E quest’ultimi pertanto sono alle prese con vincoli regolamentari che gli impediscono di coprire le perdite se non dopo costosi ricorsi in tribunale. È già prevedibile l’esito della vicenda. I californiani si rivolgeranno sempre più spesso al FAIR Plan, un “assicuratore di ultima istanza” offerto dallo Stato. È rete di sicurezza temporanea che – ha ricordato in questi giorni di San Francisco Chronicle – copre solo l’assicurazione contro gli incendi e in genere costa più di altri piani.

Lo stesso sta avvenendo in Florida dove questa settimana, il commissario assicurativo ha autorizzato una linea di credito di 1,25 miliardi di dollari per l’assicuratore di ultima istanza dello Stato – ora il più grande assicuratore – in preparazione alla prossima stagione delle tempeste. Anche in quel caso, infatti, la mano pubblica deve intervenire perchè i privati sono in fuga dagli uragani.

Alla fine i petrolieri repubblicani avranno vinto la loro battaglia e riusciranno a tenere accese le loro ciminiere come se niente fosse. Ma la guerra per il clima, che marca un arretramento, rischia di far cadere in mano allo stato un’intero, nevralgico, settore economico. E proprio per responsabilità di chi, un giorno si e l’altro pure, fa pubblica professione di libero mercato.

a cura di Riccardo Sabbatini

Leggi anche Clima: anche Tokio Marine esce da Net Zero Insurance Alliance

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