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Fondi pensione: Il nonno, il nipote e l’inflazione

Riccardo Sabbatini
Riccardo Sabbatini

La cronaca toscana de “La Nazione” ci regala un piccolo fatto su cui riflettere. Un nonno di Grosseto, volendo lasciare un capitale al proprio nipote ha sottoscritto in banca un PIP – sono i piani di previdenza forniti dalle assicurazioni – intestato al neonato. Quando ha scoperto che il pargoletto avrebbe ricevuto i frutti dell’investimento a 67anni (l’età di pensione), un percorso normale per un investimento pensionistico, chissà perchè è andato su tutte le furie, ha avanzato un reclamo alla banca, ha esposto il caso alla Covip (la commissione sulla previdenza complementare) che lo ha assistito nella sua protesta fino all’esito finale della contesa. La compagnia – riferisce il giornale – ha riversato il capitale nel frattempo accumulato in una polizza vita di ramo I che erogherà il capitale quando il nipote diverrà maggiorenne. Fatta salva la fedeltà del racconto alle effettive circostanze, si rimane stupefatti come l’ignoranza e l’improvvisazione coinvolgano un così gran numero di soggetti. L’unico a rimanerne immune in questa vicenda, a ben vedere, è giusto il neonato che tuttavia, crescendo, farà sempre in tempo a peggiorare.

Un nonno vuole lasciare un capitale al nipote? Ma perchè non sottoscrive una polizza a vita intera con il nipote unico beneficiario al momento della sua dipartita? L’anziano signore probabilmente non è avvezzo di investimenti ma certamente l’impiegato di banca che lo ha consigliato qualche responsabilità sembra averla. Il bello è che il nonno aveva probabilmente fatto la scelta più giusta e lungimirante per suo nipote se non per un dettaglio, quello fiscale. I contributi alla previdenza complementare sono integralmente deducibili fiscalmente fino al limite annuo di 5160 euro, ma ne possono godere solo i diretti interessati (se hanno una capienza fiscale da far valere) o i genitori se i minori ancora sono a loro carico, ma non i nonni. Una simile proposta, di assoluto buon senso, l’aveva fatta anni fa l’ex presidente dell’Ania Aldo Minucci ma non venne mai accolta. L’unico vantaggio di avere un “regalo” previdenziale dal nonno consiste nel fatto che quelle somme, al momento di erogazione dei trattamenti, non saranno tassate.

In ogni caso la soluzione che è stata scelta come riparazione, una polizza di ramo I con scadenza alla maggiore età, è tutt’altro che efficiente. Contratti garantiti di quel tipo generano normalmente ritorni modesti in un orizzonte temporale che sarà invece assai lungo (18 anni), paragonabile a quello previdenziale. Molto meglio sarebbe stato investire i risparmi del nonno in una polizza unit esposta ai mercati azionari, che nel lungo temine sono invece più performanti. E qui una responsabilità ce l’hanno anche gli uffici della Covip che hanno suggerito una simile soluzione proprio mentre il presidente dell’authority, Francesca Balzani, si apprestava a sostenere la tesi opposta.

Nei giorni scorsi la Covip ha svolto la sua assemblea annuale e la Balzani ha particolarmente insistito sulla necessità di cambiare “l’opzione di default” per gli iscritti alla previdenza complementare. Fino ad oggi se l’assicurato non manifesta una diversa scelta il fondo pensione lo inserisce automaticamente nel comparto più prudente, quello garantito. Secondo Panzani si dovrebbe invece adottare il criterio del life cycle puntando nei primi anni sui comparti azionari e, quanto più l’iscritto si avvicina all’età della pensione, spostando progressivamente gli investimenti su asset obbligazionari e a più bassa volatilità. Il suo ragionamento si fonda anche su un dato incontrovertibile. In uno scenario di inflazione destinata a durare per chissà quanti anni, l’unica possibilità che i futuri pensionati hanno di non vedere impoveriti con il tempo i loro risparmi è di incontrare nel loro cammino buoni gestori, ma soprattutto buoni gestori azionari. Non è un caso che, valutando le performance dei fondi pensione nell’arco di un decennio (vedi tabella) soltanto i fondi azionari battono significativamente i rendimenti del TFR, parzialmente indicizzati all’inflazione. Ma a Grosseto questa semplice verità non è mai arrivata.

a cura di Riccardo Sabbatini

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