(di Federica Pezzatti – Plus24)
L’atlante di Allianz conferma l’esiguità del secondo pilastro. Il 60% degli «under 34» non sa cosa li attende
Un lavoratore che va in pensione oggi, in media ha davanti a sé circa 18 anni da trascorrere in quiescenza. Se tornassimo indietro agli anni Settanta il periodo sarebbe stato di circa 16 anni. Grazie all’allungamento delle aspettative di vita si amplia infatti il periodo del pensionamento. Ma questi anni extra, destinati ad aumentare, anche se Tito Boeri sostiene che i trentenni di oggi lavoreranno fino a 75 anni, sono un fattore da pianificare o possono rivelarsi un onere insostenibile soprattutto per le future generazioni? E come si stanno evolvendo i trend demografici nel mondo?
Un dato che sicuramente viene seguito con attenzione delle compagnie assicurative come Allianz che ha redatto una mappa interattiva – l’Atlante Globale delle Pensioni 2015 – da cui emerge, tra l’altro che, se è vero che il nostro primo pilastro pensionistico risulta attualmente adeguato per sostenere la vecchiaia con emolumenti che ci collocano al dodicesimo posto nella classifica dei subindicatori, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il secondo e terzo pilastro ossia la previdenza complementare e il risparmio previdenziale (destinato alla vecchiaia tramite polizze o piani finalizzati) dove l’Italia è tra i fanalini di coda collocandosi infatti al trentanovesimo posto sui 49 paesi inseriti. Secondo l’indicatore di adeguatezza del reddito durante il pensionamento (Ria) creato da Allianz International Pensions, che classifica 49 paesi in base alla loro capacità potenziale di fornire un reddito adeguato per i futuri pensionati, in cima alla classifica si trovano i Paesi Bassi, seguiti da Danimarca, Norvegia, Svizzera e Giappone. L’Italia è al 19° posto, vicina a Portogallo e Francia. «Dall’analisi emerge dunque la sostanziale esiguità dei pilastri che dovrebbero sostenere la previsione pubblica – sottolinea Michela Coppola, senior economist di Allianz AM del Gruppo Allianz –. Un dato noto dovuto al fatto che gli effetti delle riforme pensionistiche sono relativamente recenti ma anche alla scarsa diffusione dei fondi pensione presso i giovani che sono coloro che più ne hanno bisogno». Ma quanto è sostenibile la situazione? L’Atlante è arricchito da una sezione che affronta proprio il tema della sostenibilità finanziaria nel lungo termine dei sistemi pensionistici (Indice di Sostenibilità Psi) che prende in rassegna fattori chiave come i trend demografici, la sostenibilità degli equilibri di finanza pubblica, la struttura dei sistemi previdenziali da cui emerge che l’Italia è in sofferenza a causa della scarsa natalità e dell’elevata speranza di vita.
Lo scenario in cui ci muoviamo non è dunque semplice e la percezione della problematica non è chiara presso il grande pubblico. Lo ha ribadito anche un’indagine del Censis presentata durante il simposio “Welfare Italia – Laboratorio per le nuove politiche sociali”, promosso a Roma da Censis e Unipol da cui è emerso, tra l’altro, che secondo quanto rilevato da una recente indagine dell’istituto di ricerca quasi il 40% della popolazione non ha idea (o se ce l’ha è molto vaga) di quale sia la propria posizione previdenziale (contributi versati e prestazione attesa). Gli inconsapevoli salgono al 60% tra i giovani. Un’altra fetta maggioritaria (57,6%) dichiara di non conoscere le forme e le polizze di secondo e terzo pilastro, strumenti per integrare le meno ricche prestazioni pensionistiche future. La cosa su cui riflettere è che il 40% di essi non sicura affatto di questa lacuna e non intende informarsi. Secondo la ricerca del Censis con Unipol «Nuove idee per la previdenza integrativa» questo atteggiamento da “struzzi” dipende anche dal fatto che molti annunci allarmistici e messaggi troppo “drammatizzati” dai media sullo stato futuro delle nostre pensioni pubbliche, anziché incentivare i giovani e i soggetti deboli dal punto di vista previdenziale a risparmiare per garantirsi una vecchiaia adeguata, determinerebbe una fuga o una rassegnazione che porta ad un atteggiamento di attesa e di non decisione. In sintesi la sfida per l’Italia dopo la messa in sicurezza del sistema pubblico realizzata con le riforme ora è quella di incentivare l’utilizzo del secondo pilastro. E vero che dal 2005 a oggi si è passati da 3 a 6,5 milioni di aderenti, tuttavia si presentano ancora delle criticità. In primis il mancato versamento dei contributi a causa della crisi che ha portato 1,5 milioni di aderenti a non alimentare i piani nel 2014. La seconda la disomogeneità delle adesioni: al sud aderisce solo il 18% dei lavoratori contro il 30% del nord (mentre il dato nazionale si ferma al 25,6%). E soprattutto la scarsa adesione dei giovani: solo il 16% degli aderenti ha un’età inferiore ai 35 anni. Insomma in quest’ambito c’è spazio anche per i consulenti previdenziali per fare educazione previdenziale di cui c’è un gran bisogno.