(di Antonella Olivieri – Il Sole 24 Ore)
Quanto c’è di interesse nazionale e quanto di interesse industriale nella contesa su Generali (nella foto, la direzione generale di Mogliano Veneto)? Nel mezzo, il rischio è che si scateni una contesa dove a perdere alla fine sarebbe il Leone. La premessa è che fino a ieri sera si stava ragionando sui sospetti. Fondati, evidentemente, visto che Generali ci ha creduto prendendo a prestito il 3% di Intesa e che la Borsa ha seguito a ruota, premiando la prima ma penalizzando la seconda. Poi ieri sera è arrivata la conferma che il management di Intesa sta valutando possibili combinazioni industriali con il Leone, citando proprio le aree in cui sono possibili fruttuose integrazioni e cioè risparmio gestito, private banking e assicurazione, con l’accoppiamento Intesa Vita – Generali Italia, Fideuram e Banca Generali, Eurizon e Generali Investment Europe. La domanda è: quanto c’è di interesse nazionale e quanto di interesse industriale dietro questa partita?
L’opinione più diffusa sul mercato è che un senso politico ci sia nella difesa di Generali, considerato che la compagnia triestina ha in portafoglio qualcosa come 60-70 miliardi di titoli di Stato. Ma come potrebbe intervenire Intesa? Qui siamo ancora nel campo delle ipotesi, che però si stanno restringendo. Intanto, su Generali e non su Mediobanca che detiene la quota di riferimento del 13%, non sufficiente a scongiurare possibili scalate dall’estero. Con un’Ops (o un’offerta mista), non con un’Opa tutta per contanti che sarebbe troppo onerosa. Proponendo un’offerta carta contro carta, con un premio del 30%, qualcuno ha calcolato che si arriverebbe a mettere in gioco il 75% della capitalizzazione della banca, che diluirebbe così di molto, forse troppo, il suo attuale azionariato.
In Piazza Affari però circola una ricostruzione che fornisce una risposta a riguardo. L’offerta cioè sarebbe parte in carta e parte in contanti, con la parte in contanti che sarebbe messa da un partner internazionale che rileverebbe gli asset da dismettere. Le voci puntano su Allianz, anche se, non più tardi di una settimana fa, il ceo Oliver Bäte, in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung dove ha confermato l’interesse a espandersi in Europa, ha ricordato che tutte le acquisizioni nella storia del colosso tedesco sono state condotte «in modo amichevole», perchè – ha spiegato – questo è fondamentale per il successo di qualsiasi integrazione.
Ad ogni modo, in questo scenario, Intesa conterrebbe la diluizione del suo azionariato, ma la difesa dell’italianità si risolverebbe in uno spezzatino del Leone, con il probabile distacco non solo di Generali France – che potrebbe già essere in predicato oggi – bensì anche di Germania e Austria, tutte aree che rendono poco o nulla a Trieste ma che potrebbero far gioco a chi invece ha sinergie da spendere su piazza. Se invece Intesa gettasse il cuore oltre l’ostacolo, muovendosi in solitudine, il rischio sarebbe quello di suscitare una contesa a colpi d’Opa dove probabilmente avrebbero la meglio i concorrenti assicurativi internazionali che hanno almeno il doppio delle sinergie da spendere e che quindi potrebbero alzare la posta oltre i limiti della possibilità di rilancio della banca milanese.
Il rischio è che si materializzi, cioè, la “minaccia” Axa, che si voleva esorcizzare. Un paradosso, perchè la difesa dell’italianità, in questo caso, si trasformerebbe in una beffa. Sulla carta è possibile un’altra via. Generali non è stata informata dei programmi di Intesa (e nemmeno il suo azionariato, a partire da Mediobanca) e nel comunicato diffuso in serata dalla banca neppure si parla della ricerca di una collaborazione con Trieste. Se però si ragionasse sul comune interesse forse si potrebbe ipotizzare un’integrazione a valle tra le aree sinergiche, cementata da uno scambio azionario a monte che potrebbe produrre il risultato di difendere l’indipendenza di una delle poche multinazionali finanziarie tricolori più di quanto lo si possa fare con l’attuale assetto. Dove la quota di Mediobanca non può crescere e dove i soci privati in affiancamento potrebbero essere legittimamente tentati a monetizzare di fronte a un’offerta economicamente irrifiutabile.