(Autore: Sara Monaci – Il Sole 24 Ore)
Faro dei magistrati sulla passata gestione e sui movimenti di denaro oltre confine. La Procura di Trieste indaga su manager «infedeli», prestanomi e flussi di liquidità con le partecipate
Gli inquirenti tornano sul caso Generali. La compagnia assicurativa di Trieste sarebbe nel mirino per due nuovi filoni di indagine – dopo quello relativo all’ostacolo alla vigilanza contestato a inizio 2014 agli ex vertici e archiviato pochi giorni fa. Ora si parlerebbe invece di riciclaggio e appropriazione indebita in un caso, e di possibili falso in bilancio e conflitto di interesse in un altro. Sotto la lente la gestione societaria fino al 2012.
Primo dossier. Il manager su cui si starebbe ancora indagando, con un quadro abbastanza chiaro, è l’ex direttore finanziario Amerigo Borrini, che nel tempo ha ricoperto vari ruoli manageriali, uomo di fiducia dell’ex amministratore delegato Giovanni Perissinotto. Per lui si ipotizzano reati come il riciclaggio e l’appropriazione indebita aggravata. Avrebbe infatti portato all’estero, in vicini paradisi fiscali, oltre 3 milioni, ma gli inquirenti – insieme alle fiamme gialle triestine e al Nucleo valutario della Gdf – ritengono che la cifra sia molto più alta.
Nel “tesoretto” di Borrini ci sarebbero non solo soldi ma anche partecipazioni, per cui i passaggi da ricostruire sono molti e molto complessi. Quello che per ora è emerso con maggiore chiarezza è che 600mila euro di quell’ammontare complessivo è stato fatto rientrare in Italia sfruttando uno degli ultimi scudi fiscali, utilizzando peraltro la figlia come prestanome.
La giovane, in quel momento ancora studentessa, è stata interrogata dagli inquirenti e ha affermato che la somma di denaro era di suo proprietà, anche se all’epoca non lavorava. Per lei è scattata l’accusa di riciclaggio, mentre per il manager c’è l’ipotesi di appropriazione indebita aggravata. Aggravata perché il denaro potrebbe essere provente di attività illecite: da fondi neri a pagamenti ricevuti. Tutte ipotesi al vaglio di procura di Trieste e Valutario, e ancora da approfondire.
Sempre all’ex direttore finanziario sarebbero riferibili anche altre somme di denaro “coperte” da un prestanome, il suo commercialista, che ha creato a sua volta una sua società che avrebbe fatto da tramite per gli spostamenti delle somme dall’Italia all’estero.
A questo proposito, gli inquirenti stanno approfondendo anche l’utilizzo di alcune partecipate della galassia Generali, in cui peraltro compare anche il nome di Borrini come socio.
Secondo dossier. Come noto da giorni, l’ostacolo alla vigilanza non è più un reato contestato agli ex vertici. Ci sarebbero però ulteriori approfondimenti da fare su altri comportamenti della passata gestione. Sotto la lente finanziamenti versati inappropriatamente, senza meriti creditizi o elargiti senza le corrette procedure, oppure acquisizioni di fondi o partecipazioni effettuate ad una rete di persone (o società) che poi avrebbero garantito la governance all’interno di Generali, ovvero il potere dei manager in carica. Anche in questo caso i reati riguarderebbero comportamenti compiuti prima del 2012.
Il quadro dei reati possibili è ancora da definire. Ad oggi le ipotesi parlerebbero di conflitto di interessi e falso in bilancio.
Negli ultimi anni erano già emerse anomalie dentro la compagnia triestina. Anomalie su cui il nuovo amministratore delegato Mario Greco ha voluto vederci più chiaro. Come riportato dal Sole 24 Ore il 13 ottobre 2013 (in un articolo di Claudio Gatti), nella semestrale del 30 giugno 2013 Assicurazioni Generali scriveva che «nel mese di luglio si sono concluse le attività di approfondimento avviate alla fine del 2012 su alcuni investimenti effettuati in anni passati in private equity e fondi alternativi, evidenziando la sussistenza di talune irregolarità sul piano della governance interna». Ma fino a lì nessun nome.
Poi il 21 dicembre 2012 è stato affidato alla società Kpmg il compito di analizzare gli investimenti del gruppo «nel private equity e in fondi alternativi». Le conclusioni, inviate a Greco, sono state queste: «Si sono riscontrate potenziali aree di rischio, con un impatto sul patrimonio netto consolidato del gruppo stimabile tra i 202,9 milioni e i 316,6 milioni».
Alla fine Generali ha cautelativamente iscritto, a bilancio nel 2013, 234 milioni di perdite. Considerando che il valore totale delle operazioni analzzate era di circa 660 milioni, si parla di una dispersione di oltre il 30 percento. Ora probabilmente gli inquirenti vorranno fare luce anche su questo.