(di Maurizio Carucci – Avvenire)
Novità in vista per i risarcimenti, ma resta la cattiva pratica dell’“autoassicurazìone”
In Italia sono in aumento le denunce per malasanità. Da oltre un decennio, tra l’altro, il ramo assicurativo della responsabilità civile sanitaria sta registrando, in modo sistematico, ingenti perdite. Numerosi i casi di cattive pratiche assicurative. In Sicilia, per esempio, una bambina ha riportato gravissimi danni psicomotori per asfissie verificatesi durante il parto. I genitori, ottenuta la sentenza favorevole con un risarcimento di 1,8 milioni di euro, non avendo potuto ottenere in nessun modo il pagamento dall’Ospedale, che versa da anni in grave dissesto finanziario, si sono visti costretti ad accettare la proposta al ribasso dell’assicurazione. I.S., invece, non riesce a ottenere il risarcimento di 50mila euro perché il Policlinico Umberto I di Roma non paga e non è possibile pignorare alcunché in quanto le casse dell’ospedale sono vuote.
La Commissione Affari Sociali della Camera ha votato di recente un disegno di legge ad hoc. Secondo Osservatorio Sanità, il testo del nuovo ddl fornirebbe al personale sanitario maggiori garanzie, giacché da un lato ridurrebbe i termini per poter esercitare l’azione civile da dieci a cinque anni e dall’altro introdurrebbe l’obbligo di manleva da parte della struttura sanitaria all’interno della quale si è verificato l’errore. Inoltre per il cittadino danneggiato, la possibilità di ottenere giustizia potrebbe diventare più rapida. Infatti, la condivisibile e necessaria introduzione dell’obbligatorietà della copertura assicurativa da parte delle strutture sanitarie è accompagnata dalla possibilità di citare direttamente in giudizio la compagnia assicuratrice dall’inizio dell’iter processuale (come avviene per esempio nel comparto Rc auto) e quindi di arrivare a una conciliazione obbligatoria.
«Ci preoccupa – spiega Francesco Lauri, presidente di Osservatorio Sanità – che nel testo definitivo del ddl sia rimasto l’articolo 8, che prevede la pratica dell’“autoassicurazione”. Lo vediamo tutti i giorni nei tribunali, da quando, qualche anno fa, è stato introdotto il regime di “autoassicurazione” per le strutture sanitarie, in luogo dei normali contratti assicurativi: ciò rappresenta per i cittadini una beffa oltre al danno ricevuto. Infatti, sentenza alla mano, non è possibile farsi pagare da quelle strutture sanitarie che sono in disavanzo finanziario perché non hanno soldi in cassa. Molto spesso, solo quando qualcuno si rivolge a noi, scopre che l’ospedale dove si è verificato il danno non è assicurato, ma autoassicurato. Dal Lazio in giù sono tantissime le strutture in disavanzo economico e in regime di “autoassicurazione” e questo è un mix mortale per i danneggiati, poiché non sono e non saranno mai risarciti».
Uno dei fattori più negativi per il sistema del risarcimento per errore medico va ravvisato soprattutto nella fuga delle grandi compagnie assicurative. «Oltre all’esigenza di una tabella nazionale sulle lesioni macropermanenti – continua Lauri – occorre rivedere al ribasso i parametri per il risarcimento del danno morale da morte e introdurre la disamina dell’effettivo legame tra i parenti, estranei al nucleo familiare, e il congiunto defunto per evitare il meccanismo del risarcimento automatico erogato indistintamente a tutti i parenti legittimati a richiederlo. In questo modo ci si avvicinerà agli standard degli altri Paesi europei e sarà forse possibile far tornare le grandi compagnie di assicurazione che, a differenza di quelle che sono proliferate negli ultimi anni, danno maggiori garanzie di solidità e solvibilità. Sarà così certo che i cittadini percepiranno l’esatto importo del risarcimento decretato dalla sentenza, senza paradossali transazioni al ribasso».
Costi proibitivi, tempi incerti e legislazione poco chiara
Medici, avvocati, magistrati, politici e pazienti. Tutti sono chiamati a risolvere le difficoltà legate alle assicurazioni sanitarie. Prima di tutto i costi. «Un giovane medico – spiega il chirurgo Alfredo Covotta – può andare incontro a un preventivo tra i 12 e i 16mila euro. Nel mio caso sono assicurato con la Milanese, che però risarcisce solo se non esiste un’altra copertura assicurativa. Gli ospedali non pagano più le assicurazioni perché il costo è elevatissimo, ma accantonano un fondo per far fronte ai vari risarcimenti. Con questo sistema risparmiano, ma per noi professionisti è un incubo». Ma quali le conseguenze di questa situazione? «Mancanza di serenità nel lavoro – sottolinea Covotta –. Il paziente a volte lo vediamo come un possibile accusatore. In un’epoca di crisi, il medico e la sua assicurazione sono visti come una possibile fonte di entrata economica. Basta poco per compromettere irrimediabilmente una situazione patrimoniale familiare. Onestamente non vedo vie di uscita, se il legislatore non mette mano a depenalizzare, a ridurre il tempo di rischio, a obbligare le compagnie ad assicurarci per il presente, per il passato e per il futuro, a costi che non siano proibitivi».
Per Marco Rossetti, magistrato dal 1991, attualmente consigliere di Cassazione, «è assai difficile che il disegno di legge in discussione in Parlamento possa risolvere i problemi. Il testo normativo, infatti, pur individuando correttamente i problemi, non sembra adottare misure efficienti per risolverli: anzi, in qualche caso pare aggravarli». Sotto accusa la qualità giuridica e sintattica assai scadente. «Alcune norme contenute nel ddl – precisa Rossetti – sono infatti vuote declamazioni; altre sono totalmente sgrammaticate; altre ancora sono perfettamente inutili, duplicando precetti già esistenti; altre ancora sono giuridicamente incomprensibili. L’art. 8, comma 4, del ddl, con una logica che avrebbe fatto invidia a Protagora, proclama che le Asl hanno l’obbligo di assicurare la propria responsabilità civile, salvo che decidano di non farlo. Gli unici soggetti ai quali il ddl impone un effettivo obbligo assicurativo restano dunque i medici, che però la polizza dovranno pagarsela di tasca propria».
Per Italo Partenza, avvocato esperto di assicurazioni, «“l’autoassicurazione” in realtà a volte può presentare il rischio di non tutelare adeguatamente i cittadini. Esistono ovviamente esempi virtuosi di enti ospedalieri e strutture private, ma anche inspiegabili assenze di pagamenti in casi in cui aziende pubbliche non abbiano sottoscritto coperture assicurative». Un contenzioso in ambito sanitario, infatti, richiede mediamente da tre a cinque anni per ottenere una pronuncia di primo grado, ai quali sono da aggiungere circa due o tre anni nella migliore delle ipotesi per una pronuncia in appello. «Di fatto – conclude l’avvocato – non c’è rimedio alla scarsità di offerta da parte delle compagnie e questo è indubbiamente un problema sociale. I professionisti sono particolarmente esposti in quanto molte coperture in circolazione sul mercato garantiscono il rischio con particolari limitazioni – anche temporali – e comunque a prezzi spesso non sostenibili per giovani medici».