(di Marcello Esposito – Repubblica Affari & Finanza)
In questa tormentata fase di Borsa, le banche sono il settore più bersagliato all’interno del comparto dei servizi finanziari.
Lo sono con una violenza inusuale, vista solo in occasione di crisi di natura sistemica come quella dello spread o dei mutui subprime.
Eppure fenomeni micro come una più stringente regolamentazione prudenziale e di tutela del risparmiatori e fenomeni macro come i tassi negativi impattano non solo le banche, ma anche le assicurazioni e le società di gestione del risparmio. Le difficoltà incontrate negli aumenti di capitale fanno addirittura sorgere il dubbio che il mercato non riesca più a svolgere nei confronti del settore creditizio la sua funzione economica primaria, che non è quella di un sofisticato casino ma di far affluire il risparmio nelle aziende a fronte di nuovi piani industriali. Ovviamente, le motivazioni contingenti di questa sfiducia non mancano, a partire dal bail-in delle quattro banche regionali. Ma c’è qualcosa di più. L’estrema volatilità dei mercati azionari, i tassi a zero sulle obbligazioni con scadenze anche medio-lunghe, l’eccesso di risparmio sono il riflesso caleidoscopico di uno stesso malessere. Forse ha ragione Salvatore Rossi, Presidente dell’IVASS e Direttore generale della Banca d’Italia, nell’attribuire questa estrema avversione al rischio non alle politiche monetarie delle banche centrali ma ai trend globali di invecchiamento della popolazione e di trasformazione della struttura familiare. Iniziati molti anni prima che le banche centrali aprissero le chiuse della liquidità.
In linea teorica, dovrebbe quindi essere il mondo ideale per chi offre servizi di protezione patrimoniale. Le banche con i loro depositi e le loro obbligazioni. Le Compagnie assicurative con le loro polizze. Le società di gestione del risparmio con la loro promessa di rendimenti positivi nel medio e lungo termine, grazie alla diversificazione e alla gestione professionale. I servizi finanziari dovrebbero fiorire in un contesto come l’attuale.
Eppure l’andamento di Borsa testimonia ben altre preoccupazioni. Il fatto è che, se l’offerta di protezione non è efficace o se il costo di produzione della protezione è eccessivo, viene meno la sostenibilità nel medio e lungo termine di un intero modello di business. Un esempio della forza distruttiva che pub avere la presa di coscienza dell’inefficacia della funzione di protezione di uno strumento di risparmio lo abbiamo osservato con l’entrata in vigore della normativa sul bail-in.
Il mondo a testa in giù dei tassi negativi mette a rischio anche la sostenibilità del business delle polizze “vita” tradizionali, quelle con un rendimento minimo garantito. Non è solo la questione di come riuscire a vendere un prodotto che non è più in grado di promettere rendimenti positivi. Alle Compagnie basterebbe chiudere l’accesso alle gestioni separate da parte di nuovi clienti.
Sacrificherebbero l’utile di breve periodo ma eviterebbero di diluire i rendimenti accumulati negli anni passati e promessi ai vecchi clienti. Il vero problema sta nella opzione di protezione dal rischio di rialzo dei tassi d’interesse che è implicita nei prodotti “vita” tradizionali e il cui valore effettivo pub essere facilmente sottostimato. Soprattutto dopo un uso prolungato di politiche monetarie disegnate per fronteggiare temporanee crisi di liquidità che possono aver fatto perdere la memoria, anche ai modelli quantitativi utilizzati per calcolarne il valore, di che cosa sia la “normalità” economica.
La gestione del risparmio attraverso fondi comuni o unit-linked sembrerebbe poter navigare attraverso la tempesta con più agilità. Gli investimenti dei gruppi bancari in tale direzione sono stati considerevoli. Ma è vero solo in parte. La struttura commissionale è disegnata per un periodo in cui i tassi d’interesse e il rendimento atteso delle attività finanziarie erano un multiplo degli attuali. Il quantitative easing, generando guadagni in conto capitale, ha consentito di compensare il crollò del flusso cedolare e annullare l’incidenza sulle performance della reale struttura di costo. Poco male se gli investitori ne fossero consapevoli. Il dubbio è che per molti di essi il livello di consapevolezza sia estremamente basso. Basti pensare al boom dei fondi a cedola, diventati il cavallo di battaglia delle reti di distribuzione retail. Con i tassi attuali e con i caricamenti necessari per remunerare le reti di distribuzione, bisognerebbe verificare quanti sottoscrittori siano consapevoli che una cedola anche bassa si può pagare solo assumendo rischi elevati o usando il capitale. Perché il risveglio dei risparmiatori, se troppo brusco, pub causare danni non solo al loro patrimonio ma alla stabilità stessa del sistema.