Opinione della Settimana

E i precari frenano le pensioni integrative

La mancanza di occupazione piena rallenta l’espandersi degli assegni complementari ma anche il sistema normativo crea altri problemi

La previdenza complementare stenta a decollare e, al momento, non esistono i presupposti affinché questo avvenga. Per gli italiani questo è un problema enorme perché senza una buona pensione integrativa molte persone avranno difficoltà economiche dopo aver abbandonato il lavoro. A lanciare l’allarme è Temistocle Bussino, docente della Bocconi in materia previdenziale. «Esistono tre ostacoli al decollo dei fondi pensione integrativi — spiega l’esperto — due di natura normativa e uno che riguarda più in generale il mercato del lavoro». Secondo Bussino, infatti, la mancanza di lavoro è il principale ostacolo alla crescita della previdenza complementare. Chi non lavora con continuità, come per esempio gli assunti con un contratto a progetto, o chi ha un contratto che non prevede i versamenti al fondo pensione, come i Co.co.co, è nei fatti impossibilitato a crearsi una previdenza alternativa. «Il sistema della previdenza alternativa funziona se si ha un lungo periodo lavorativo — spiega Bussino — Chi ha invece una vita lavorativa sofferta si vede preclusa questa possibilità. Per risolvere questo problema bisogna per prima cosa pensare al rilancio del mercato del lavoro».

Gli altri due problemi riguardano invece la fiscalità e la flessibilità dei fondi pensione. «Per avere successo la previdenza integrativa deve avere maggiori incentivi fiscali — continua Bussino — ma la situazione delle finanze pubbliche lascia pochissimo margine di manovra su questo fronte». «C’è poi il problema dei paletti troppo rigidi nella gestione del proprio fondo pensione che hanno scoraggiato numerosi lavoratori — spiega il professore della Bocconi — Solo per avere un esempio basta guardare come è difficile cambiare linea di gestione». Nonostante la situazione sia tutt’altro che rosea il professor Bussino nutre forti speranze in un decollo della pensione integrativa. Il suo successo è infatti di estrema importanza per chi andrà in pensione. Chi si appresta a farlo nei prossimi anni percepirà solo il 50% del suo ultimo stipendio come pensione Inps e questa percentuale è destinata a scendere ulteriormente per chi lascerà il lavoro più in là nel tempo. I futuri governi potrebbero infatti cambiare i coefficienti legati alla speranza di vita, così come non sono da escludere nuovi interventi sulle pensioni.

Intanto il 2012 si è archivia in modo positivo per l’industria dei fondi pensione. Secondo il primo consuntivo 2012 pubblicato dalla Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, il numero di iscritti allo scorso 31 dicembre è stato pari a 5,86 milioni con un incremento del 6% rispetto all’anno precedente I piani individuali (Pip) si sono confermati la forma previdenziale più gettonata con una crescita del 22% rispetto al 2011. In termini di iscritti restano al palo le altre due forme previdenziali: i fondi pensione aziendali hanno perso infatti l’1,2% mentre i fondi pensione aperti hanno segnato una moderata crescita, più 3,7%. Si consolida anche il patrimonio complessivo di tutte le forme previdenziali, che raggiunge i 99 miliardi di euro, registrando così un incremento del 9,7%. Questo sviluppo deriva dai nuovi contributi incassati nell’esercizio ma anche dagli effetti dei rendimenti finanziari: la rivalutazione annua è stata dell’8,9% per i fondi pensione aziendali e di circa il 9% per i fondi aperti e per i Pip. È stato così battuto abbondantemente quel 2,9% di rivalutazione conseguito nel 2012 dal Tfr che è il benchmark naturale della previdenza integrativa.

Autore: Marco Frojo – Repubblica Affari & Finanza (Articolo originale)

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